Giornata mondiale dell’Alzheimer 2021: domande e risposte sulla malattia

 

Incontro con il Prof. Scarpini e i suoi collaboratori
del Policlinico di Milano del “Centro Dino Ferrari”
dell’Università degli Studi

Il 21 settembre si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale dell’Alzheimer: un momento di riflessione e un’opportunità per sensibilizzare e informare su questa malattia che ad oggi è considerata la forma più comune di demenza. Per l’occasione, abbiamo intervistato il Prof. Scarpini, Responsabile del centro Alzheimer del Policlinico di Milano, Università degli Studi – “Centro Dino Ferrari”, e alcuni dei suoi collaboratori che ci hanno raccontato i progressi che sono stati fatti negli ultimi anni e le ultime novità nella ricerca.

DOMANDE E RISPOSTE SULL’ALZHEIMER

Di seguito tutte le domande poste ai nostri esperti e le relative risposte:

1- Qual è l’importanza della Giornata Mondiale Alzheimer?

Prof. Elio Scarpini: È un evento che ricorre ogni anno il 21 settembre e che sottolinea l’importanza globale di questa malattia che colpisce più di 30 milioni di pazienti nel mondo, il 5% dei soggetti oltre i 65 anni. Lo scopo di questo incontro è quello di informare su tutte le attività di assistenza clinica e di ricerca scientifica svolta dai nostri ricercatori e dai nostri medici all’interno del „Centro Dino Ferrari“ dell’Univesità degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Ca‘ Granda Ospedale Maggiore Policlinico. Oggi i miei collaboratori, Dott.ssa Galiberti, Dott. Arighi e Dott. Fumagalli, illustreranno le loro scoperte più recenti e significative che hanno pubblicato sulle più prestigiose riviste neurologiche internazionali.

2- Com‘è cambiata l’assistenza dei pazienti in epoca pandemica? Prendendo anche spunto dal lavoro che ha pubblicato lo scorso gennaio su Neurological Sciences proprio relativo all’utilizzo della telemedicina come nuovo ausilio per il paziente, a distanza di qualche tempo, com’è percepita questa nuova modalità di supporto?

Dott. Andrea Arighi: Il lockdown del marzo 2020 ha stravolto improvvisamente l’attività ambulatoriale, programmata da mesi, del Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze. L’attività ambulatoriale è stata così spostata quasi completamente nel mondo digitale: ad esclusione delle prime visite, che venivano comunque effettuate in presenza, le visita di controllo per i pazienti con demenza sono state effettuate in telemedicina, permettendo un regolare svolgimento dell’attività programmata. Abbiamo scoperto una nuova modalità di essere medico, paziente e caregiver, che ha visto una straordinaria capacità di adattamento, con risultati estremamente positivi. Questa esperienza ci ha dato anche la possibilità di associare all’attività clinica anche quella di ricerca applicata: ci siamo chiesti quale fosse l’elemento che rendeva difficile effettuare la visita in telemedicina per i nostri pazienti. Abbiamo analizzato 110 valutazioni ed abbiamo osservato che l’elemento discriminante per una buona riuscita della visita in telemedicina era l’età del caregiver: quando al fianco del paziente vi era un caregiver della stessa generazione del paziente, partner o fratello/sorella, la percentuale di successo era molto più bassa rispetto a quando vi era un caregiver di una generazione successiva, figlio o nipote (49% vs 86%). Questo dato ha implicazioni importanti nella gestione del futuro della telemedicina, sottolineando l’importanza dell’alfabetizzazione digitale. Attualmente stiamo continuando ad utilizzare la telemedicina, per casi selezionati, con buon successo. In particolare le valutazioni in telemedicina vengono effettuate per commentare risultati di esami prescritti e decidere come proseguire con il percorso diagnostico/terapeutico, oppure per paziente con difficoltà motorie, così da ridurre la frequenza di spostamenti in ospedale.

3-Dott. Arighi lei non si occupa solo di assistenza ma anche di ricerca di base, quali sono le linee perseguite?

Dott. Andrea Arighi: Negli ultimi anni il mio interesse scientifico si è spostato verso un sistema identificato pochi anni fa: il glinfatico. Tra le cellule del nostro organismo esiste uno spazio, chiamato spazio interstiziale, che viene drenato da vasi che nel loro insieme costituiscono il sistema linfatico. Il ruolo principale di questo sistema è il trasporto di proteine, liquidi e lipidi dall’interstizio al sistema circolatorio sanguigno, con anche ruoli di filtraggio e un ruolo importante nell’attivazione della risposta immunitaria. Fino a qualche anno fa si pensava che il cervello non avesse vasi linfatici. Questa affermazione è stata rivoluzionata nel 2012 quando è stata dimostrata l’esistenza, prima su modelli murini e poi su essere umano, di un sistema, chiamato glinfatico, con la funzione di drenaggio e filtrazione dello spazio interstiziale cerebrale. Questo sistema dinamico è costituito da un flusso di liquidi che attraversa il tessuto cerebrale, partendo dagli spazi attorno alle arterie che penetrano nel cervello, per arrivare allo spazio attorno alle vene ed essere raccolto in veri e propri vasi linfatici che drenano ai linfonodi del collo. Questo flusso permette di spostare liquidi soprattutto metaboliti presenti nel tessuto interstiziale e soprattutto di rimuovere sostanze di scarto, come la proteina amiloide che si deposita nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer. La scoperta del sistema glinfatico é stata una vera e propria rivoluzione, che ha permesso di guardare al cervello in un modo nuovo, aprendo nuovi scenari di ricerca. Negli ultimi anni abbiamo deciso di studiare una proteina, chiamata Acquaporina4, che è una proteina canale che risiede sulla membrana degli astrociti, che circondano i vasi cerebrali, e permette il passaggio di acqua, alla base del flusso di liquidi del sistema glinfatico. Abbiamo dimostrato che questa proteina risulta alterata nei pazienti con malattia di Alzheimer e correla con il grado di neurodegenerazione. Questo interessante risultato deriva da uno studio preliminare. Attualmente stiamo lavorando per confermare questi dati su una casistica più ampia e per approfondire il comportamento di AQP4 anche con altre metodiche, come la risonanza magnetica e la PET.

4- In tema di ricerca scientifica, quali sono le linee principali e le novità?

Dott.ssa Daniela Galimberti: La ricerca che stiamo portando avanti nei nostri laboratori è di tipo traslazionale: stiamo cioè studiando il contenuto dei fluidi biologici dei pazienti per capire quali molecole e quali meccanismi sono alterati durante lo sviluppo della malattia di Alzheimer e di altre demenze. Il fine di questo approccio è di identificare dei marcatori biologici che siano d’aiuto nella diagnosi differenziale precoce delle demenze, ma soprattutto dei biomarcatori che predicano la comparsa dei sintomi e dunque permettano un approccio terapeutico quando le cellule del cervello non sono compromesse in modo irreversibile. Questo punto è particolarmente importante dato che è stato dimostrato che le alterazioni del cervello tipiche della AD avvengono già 10-15 anni prima dello sviluppo dei sintomi. Un candidato promettente in questo senso è una molecola denominata “catena leggera dei neurofilamenti”; è una proteina contenuta nei neuroni che viene liberata quando queste cellule muoiono. I livelli di neurofilamenti sono dosabili nel sangue e riflettono quanto succede nel cervello. Uno studio multicentrico internazionale al quale abbiamo partecipato ha analizzato una casistica di più di 2000 pazienti con diverse demenze, dimostrando che i livelli di neurofilamenti aumentano in concomitanza con lo sviluppo di decadimento cognitivo non solo nella malattia di Alzheimer ma anche in altre demenze, e potrebbero essere dunque utilizzati come screening sulla popolazione anziana per predire il deficit cognitivo ed impostare un trattamento precoce. I risultati di questa analisi sono stati pubblicati su Nature Communications. La stessa molecola inoltre si è dimostrata molto utile in famiglie di soggetti portatori di mutazioni causali per demenza per predire in anticipo lo sviluppo dei sintomi e includere questi soggetti in sperimentazioni cliniche con farmaci innovativi. Anche questi risultati sono stati ottenuti grazie alla collaborazione fra esperti a livello internazionale, che ha portato alla pubblicazione dei risultati sulla prestigiosa rivista Neurology.

5-La ricerca attuale non è solo quella legata agli aspetti di ricerca di base ma anche quella applicata al paziente con tecnologie innovative, quali sono esattamente queste nuove strumentazioni a disposizione?

Dott. Giorgio Fumagalli: Negli ultimi anni si sono sviluppati diverse metodiche che permettono di analizzare la struttura e il volume del cervello mediante la risonanza magnetica. Nelle mie ricerche mi sono focalizzato sullo studio dei solchi corticali come misura dell’atrofia cerebrale e quindi come supporto per la diagnosi. Con il nostro gruppo abbiamo utilizzato tecniche computerizzate automatiche ma anche metodiche semplici da applicare in ambulatorio come le scale visive. Seguendo questo approccio abbiamo pubblicato un lavoro in cui è stato possibile distinguere tra la variante classica della malattia di Alzheimer e la variante visiva chiamata atrofia corticale posteriore mentre in una precedente pubblicazione è stato possibile discriminare tra le diverse forme genetiche della Demenza Frontotemporale (una forma più giovanile di demenza che causa disturbi del comportamento). Attualmente stiamo lavorando sulle Afasie primarie progressive, un eterogeneo gruppo di demenze caratterizzate da disturbi del linguaggio. 

Continuare a studiare questa malattia è fondamentale, sostieni i nostri ricercatori!

Si ringrazia per la partecipazione:

Prof. Elio Scarpini
Responsabile Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) “Centro Dino Ferrari” Università degli Studi di Milano Fondazione IRICCS Ca’ Grande Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Prof.ssa Daniela Galimberti
Responsabile laboratorio Neurochimica e genetica del “Centro Dino Ferrari” dell’UOSD Malattie Neurodegenerative del Policlinico di Milano

Dott. Andrea Arighi
Neurologo Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) “Centro Dino Ferrari” Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Ca’ Grande Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Dott. Giorgio Fumagalli
Neurologo Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) “Centro Dino Ferrari” Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Ca’ Grande Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

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