Malattia di Parkinson: sintomi, cause e terapie. A parlarne il dott. Alessio Di Fonzo

La Malattia di Parkinson: sintomi, cause e cure. A parlarne è il dott. Alessio Di Fonzo.

 

Il dott. Alessio Di Fonzo è il responsabile del Gruppo Malattia di Parkinson e altri disturbi del movimento presso il Centro Dino Ferrari.

 

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Come si diagnostica il morbo di Parkinson?

La diagnosi di Malattia di Parkinson viene effettuata sulla base di una visita neurologica da parte di uno specialista di disturbi del movimento. I criteri diagnostici prevedono che a diagnosi malattia di Parkinson si ponga quando sono presenti in combinazione almeno due segni/sintomi:

  • rigidità muscolare + bradicinesia (lentezza dei movimenti)

oppure

  • tremore a riposo + bradicinesia

associati ad un miglioramento dopo assunzione di levodopa.

Per avvalorare la diagnosi vengono effettuati alcuni esami strumentali.

La Risonanza (RMN) dell’encefalo: in caso di m. di Parkinson non mostra lesioni cerebrali ed è importante per escludere che i sintomi parkinsoniani siano dovuti ad altre cause, per esempio ischemie o emorragie (parkinsonismo vascolare), aumento del volume del liquor (idrocefalo) o altre lesioni più rare.

La SPECT con DATSCAN che valuta l’integrità delle proiezioni dopaminergiche risulta alterato in caso di m. di Parkinson. Può essere utilizzato per distinguere la m. di Parkinson da altri parkinsonismi (vascolare o da farmaci) in cui risulta normale.

 

Quali sintomi/disturbi lo caratterizzano?

I sintomi motori che caratterizzano la malattia di Parkinson interessano prevalentemente un lato corporeo. Può essere presente lentezza del movimento, che spesso si manifesta come rimpicciolimento della scrittura (micrografia) riduzione dell’agilità, riduzione della lunghezza del passo durante il cammino, riduzione del volume della voce (ipofonia). La rigidità si presenta spesso come dolore al braccio o al piede, postura flessa del gomito, della mano o della gamba.

Il tremore, se presente, può interessare la mano o il piede (più frequentemente) a riposo, e tende a scomparire durante l’esecuzione di una azione.

I sintomi non motori sono molto frequenti nella malattia di Parkinson, e spesso sottovalutati,. La riduzione dell’olfatto (iposmia) può manifestarsi molti anni prima dell’esordio di sintomi motori. Lo stesso vale per il disturbo del sonno, che si manifesta oltre che con insonnia o risvegli frequenti, anche con comportamenti “bizzarri” durante la fase REM (la fase in cui si sogna) con scatti, pugni, scalci e urla. Di solito sono i coniugi ad accorgersi di questo fenomeno, più che gli interessati. La sonnolenza diurna è spesso la conseguenza di una cattiva qualità del sonno notturno. Altro fenomeno notturno che può essere una manifestazione non motori del m. di Parkinson è la frequente necessità di urinare (nicturia).

Sintomi che spesso compaiono prima o all’esordio dei sintomi motori sono la stitichezza, la difficoltà a digerire e l’eccessiva salivazione (scialorrea).

In caso di presenza di uno o più di questi sintomi in un familiare è consigliabile una visita neurologica da uno specialista di disturbi nel movimento.

Quali sono le cause del morbo di Parkinson?

La malattia di Parkinson è causata dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici di una regione del cervello chiamata sostanza nera. A causa della perdita di questi neuroni la dopamina da essi prodotta non può agire su un’altra struttura cerebrale, chiamata corpo striato, dove ha il ruolo di facilitare i circuiti che portano ad eseguire il movimento e a inibire i circuiti che servono a ridurre il movimento. La conseguenza della mancanza di dopamina porta quindi a una riduzione globale del movimento. Lo sbilanciamento del tono del muscoli che servono a flettere e quelli che servono ad estendere oltre a rigidità può portare a tremore.

Sebbene i meccanismi molecolari che portano alla riduzione progressiva dei neuroni dopaminergici nella malattia di Parkinson non siano ancora del tutto chiari, lo studio dei casi familiari ha permesso l’identificazione di geni che causano alcune forme di m. di Parkinson. Lo studio di questi fattori genetici e delle proteine codificate da questi geni sta portando ad una comprensione sempre maggiore della patogenesi, passaggio necessario per trovare una terapia che blocchi la degenerazione neuronale. In particolare è noto che nei neuroni dopaminergici prima della degenerazione si accumulano proteine, di cui una in particolare, chiamata alfa sinucleina, sembra avere un ruolo fondamentale. Infatti con l’avanzare della patologia si ritrovano accumuli di questa proteina (corpi di Lewy) sempre più diffusi. Inoltre mutazioni che inducono l’aumento di espressione di questa proteina portano a m. di Parkinson, a dimostrazione che questa proteina sembra giocare un ruolo cruciale nella patogenesi.

 

Qual è il decorso della Malattia di Parkinson?

Il decorso della malattia di Parkinson è molto variabile. Solitamente la progressione si manifesta nel corso di molti anni. La presenza di peggioramento molto rapido dei sintomi, che frequentemente allarma le persone con m. di Parkinson e i loro familiari, è improbabile che dipenda dalla m. di Parkinson stessa. Più spesso è da attribuirsi ad un evento intercorrente (ad. esempio una infezione, disidratazione, malessere dovuto ad altra malattia) che una volta risolto porta alla situazione iniziale.

Spesso le persone con malattia di Parkinson chiedono se questa malattia porti a morte, e la risposta è non significativamente prima di quanto accada in una persona senza malattia di Parkinson. Quello che cambia è la qualità di vita, a causa dei sintomi motori e non motori. E’ quindi necessaria un’alleanza stretta con il proprio neurologo al fine di trattare con tutti i rimedi, non pochi, i vari sintomi che si presentano negli anni al fine di avere la migliore qualità di vita possibile.

 

Quali cure/terapie abbiamo oggi per rallentare il decorso della patologia in un paziente affetto dal morbo di parkinson?

La “terapia” della malattia di Parkinson si divide in due grandi categorie: sintomatica e neuroprotettiva.

La terapia sintomatica ha il fine di ridurre, se non far scomparire temporaneamente, i sintomi motori e non motori. La terapia consta di due approcci fondamentali, la cui combinazione porta al beneficio massimo sul controllo dei sintomi: approccio farmacologico e fisico. L’approccio farmacologico riguarda l’uso di farmaci che funzionino al posto della dopamina endogena, in particolare la levodopa (precursore della dopamina) e i dopaminoagonisti. A questi farmaci si possono associare molecole che inibiscono la degradazione (fisiologica) della dopamina, ovvero gli inibitori degli enzimi MAO-B e COMT.

La terapia neuroprotettiva prevede la possibilità di proteggere i neuroni dopaminergici dalla progressiva riduzione. In quest’ottica sono in corso diversi trials terapeutici che hanno l’obiettivo di ridurre l’accumulo della proteina alfa sinucleina all’interno dei neuroni, e farmaci che riducono la fragilità neuronale.

Sono, inoltre, in corso studi su cellule staminali embrionali e neuronali per valutare se queste vengano tollerate dal ricevente e se siano in grado di produrre dopamina con conseguente beneficio sui sintomi e sul decorso della malattia di Parkinson.

 

Ci sono test genetici da somministrare in età giovanile per capire se c’è predisposizione?

Tutti i pazienti affetti da malattia di Parkinson possono sottoporsi al test genetico per sapere se sono portatori di varianti in geni noti per essere associati ad un aumentato rischio di sviluppare la patologia. Il prelievo può essere effettuato anche al solo scopo di ricerca. L’esordio giovanile o in età adulta è associato a varianti genetiche di geni diversi. Le forme giovanili sono più frequentemente ereditate con modalità autosomico recessiva, questo significa che da due genitori sani ma portatori della variante genetica in questione nasce una persona con entrambe le varianti materna e paterna e sviluppa nel corso della vita una forma di m. di Parkinson giovanile. Le forme adulte sono spesso ad ereditarietà autosomico dominante con penetranza incompleta, questo significa che chi eredita da uno dei genitori la variante genetica causativa (ad esempio dei geni LRRK2 o GBA) svilupperà la m. di Parkinson con una probabilità che varia dal 10 al 30% dopo i 60 anni.

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